Assieme nella luce regolare della terra

Assieme nella luce regolare della terra
 
 

A chiusura della settimana che Laboratori Poesia ha proposto in occasione dell’8 marzo abbiamo chiesto a tre redattrici di inviarci 10 poesie a testa di poetesse del novecento che hanno letto e amato particolarmente. Ne è così nata un’involontaria antologia di poesia in lingua italiana, spagnola e inglese che dice una pluralità di voci e un’unità di sentire, di dire, in una sorellanza di fronte al mondo.

Ne è emerso uno spaccato di vita prima che poetico. Un insegnamento, un monito. Che siamo qui, tutti e sempre qui assieme nella luce regolare della terra.
 

Alessandro Canzian

 
 
 
 


 
 

ASSIEME NELLA LUCE REGOLARE DELLA TERRA

 
 

Vernalda Di Tanna
propone alcune autrici di lingua italiana

 
 

 
Devota come ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,
 
su acutissime làmine
in bianca maglia d’ortiche,
ti insegnerò, mia anima,
questo passo d’addio…
 
Cristina Campo (1923-1977)
 
 
 
 
 
 
Guardo i miei occhi cavi d’ombra
e i solchi sottili sulle mie tempie,
guardo, e sei tu, mio povero stanco volto,
così a lungo battuto dal tempo?
Mi grava l’ombra d’un occulto sogno.
Ah, che un ultimo fiore in me s’esprima!
Come un’opaca pietra
non voglio morire fasciata di tenebra,
ma d’un tratto, dalla radice fonda,
alzare un canto alla ultima mia sera.
 
Sibilla Aleramo (1876-1960)
 
 
 
 
 
 
Io nacqui sposa di te soldato.
So che a marce e a guerre
lunghe stagioni ti divelgon da me.
 
Curva sul focolare aduno bragi,
sopra il tuo letto ho disteso un vessillo –
ma se ti penso all’addiaccio
piove sul mio corpo autunnale
come su un bosco tagliato.
 
Quando balena il cielo di settembre
e pare un’arma gigantesca sui monti,
salvie rosse mi sbocciano sul cuore:
che tu mi chiami,
che tu mi usi
con la fiducia che dai alle cose,
come acqua che versi sulle mani
o lana che ti avvolgi intorno al petto.
 
Sono la scarna siepe del tuo orto
che sta muta a fiorire
sotto convogli di zingare stelle.
 
Antonia Pozzi (1912-1938)
 
 
 
 
 
 
All’ipotetico lettore – 1992
 
Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa’ che siano
allora come foglie e come vento
assecondando il suo volo.
E sappi che l’affetto nell’addio
non è inferiore che nell’incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.
 
Margherita Guidacci (1921-1992)
 
 
 
 
 
 
Non ho seme da spargere per il mondo
non posso inondare i pisciatoi né
i materassi. Il mio avaro seme di donna
è troppo poco per offendere. Cosa posso
lasciare nelle strade nelle case
nei ventri infecondati? Le parole
quelle moltissime
ma già non mi assomigliano più
hanno dimenticato la furia
e la maledizione, sono diventate signorine
un po’ malfamate forse
ma sempre signorine.
 
Patrizia Cavalli (1949)
 
 
 
 
 
 
Ascolta il passo breve delle cose
-assai più breve delle tue finestre-
quel respiro che esce dal tuo sguardo
chiama un nome immediato: la tua donna.
È fatta di ombre e ciclamini,
ti chiede il tuo mistero
e tu non lo sai dare.
Con le mani
sfiori profili di una lunga serie di segni
che si chiamano rime.
Sotto, credi,
c’è presenza vera di foglie;
un incredibile cammino
che diventa una meta di coraggio.
 
Alda Merini (1931-2009)
 
 
 
 
 
 
Gemina iuvant
 
Soltanto a sfiorarla – dicono
i miei due rivali emisferi
digrada a più lievi some
la femmina del mio cervello diviso
la sinistra ancella della nostra passione
che cola viscosi umori di nera bile
impuri fluidi di non storia
ma sa la visione e lo spirito del tempo
e se muore è d’etilismo
e sempre fuori tempo.
La sua parte è fissa.
È la parte per il tutto.
A destra invece legge
scrive e fa di conto colui che
prende di punta ogni ideuzza e la rintuzza
nella brocca rotta che risuona a vuoto
per maniera che non ne torni l’eco
tranne i costi i ricavi e
l’insana ragione mancina
ridurre alle sue minute ragioni.
Ogni punto è la testa pensante di una linea.
Ogni linea termina in un punto.
Così fingendosi amanti
i miei due rivali emisferi
entrambi mi tormentano
e non c’è ricciolo, né maliziosa frangia
a tenerne unito il gruzzolo
a ricomporre l’antica noce
della loro inimicizia.
 
Biancamaria Frabotta (1946)
 
 
 
 
 
 
Ma il mio amore non smette
 
Non toccarmi, non sono questa cenere
né la salvezza
della carne viva
non la rosa
ma il canto
di una cosa.
 
Non toccarmi, non sento più dolore
dell’oggetto composto in tutti i sensi
da superfici: strati
di bianco
fino nel buio della profondità, steli d’aria
dal cuore che è
statue in elevazione
uno stato di cose senza sguardo.
 
Non toccarmi, non ho più intelligenza
dell’albero che ciecamente frutta.
Ho sentito qualcosa che sovrastava.
Ho sentito che siamo incorruttibili.
Ecco allora i bambini
monumenti alla gioia
del corpo quando è forte
più del dolore, monumenti su coppe di silenzio
e un rumore di botole su lastre bianche.
 
Non toccarmi, sono la pietra bianca
e l’animale sotto la sua luce senza oggetto
e la parte profonda del cielo come una tunica di rovi
e il ruotare dei rovi.
Sotto il sasso c’è un rivolo di sangue, un insetto
senza speranza
e senza dolore
ma il suo canto si spegnerà per ultimo.
 
Non toccarmi, ho sognato che in cielo
ruotavano i pianeti e io tra quelli
portavo il cuore
esposto, perché la terra è piccola per il dolore
ma qualcosa perdeva sangue, ancora.
 
Maria Grazia Calandrone (1964)
 
 
 
 
 
 
Poesia illegittima
 
Quella sera che ho fatto l’amore
mentale con te
non sono stata prudente
dopo un po’ mi si è gonfiata la mente
sappi che due notti fa
con dolorose doglie
mi è nata una poesia illegittimamente
porterà solo il mio nome
ma ha la tua aria straniera ti somiglia
mentre non sospetti niente di niente
sappi che ti è nata una figlia.
 
Vivian Lamarque (1946)
 
 
 
 
 
 
La cometa
 
Quel mio amore per lui aveva ali di cera
lunghe le ali sembravano eterne
battevano il cielo sicure, sfioravano picchi,
puntavano al sole con nervature nervine.
Fuse le ali ormai mi ricrescono dentro,
soltanto ora perdute mi diventano vere,
e ai cuori incauti grido: la passione è un fantasma
troppo importante, uomini, per potersi incarnare.
Chiomate vaganti comete di Halley, presagi
disastri prodigi che infiammano e gelano il sangue,
nessuno osi fissarvi, si arrischi a sfiorare
coaguli di pura lontananza – morgane.
 
Maria Luisa Spaziani (1922-2014)
 
 
 
 
 
 
Amore, bada, se mi vuoi ferire,
che la ferita non mi sia mortale.
 
Lagnarmi non m’udresti del mio male,
ma lontano da te vorrei morire.
 
Come la cerva ch’è ferita a morte,
nel folto delle selve fuggirò.
 
Sola e senza rimpianger la mia sorte,
amor, lontano da te morirò.
 
Lalla Romano (1906-2001)
 
 
 


 

Rocio Bolanos
propone alcune poetesse di lingua spagnola

 
 

 
Voy a dormir
 
Dientes de flores, cofia de rocío,
manos de hierbas, tú, nodriza fina,
tenme prestas las sábanas terrosas
y el edredón de musgos escardados.
Voy a dormir, nodriza mía, acuéstame.
Ponme una lámpara a la cabecera;
una constelación, la que te guste;
todas son buenas: bájala un poquito.
Déjame sola: oyes romper los brotes…
te acuna un pie celeste desde arriba
y un pájaro te traza unos compases
para que olvides… Gracias. Ah, un encargo:
si él llama nuevamente por teléfono
le dices que no insista, que he salido…
 
 
 
 
Vado a dormire
 
Denti di fiori, cappuccio di rugiada,
mani di erbe, tu, fine nutrice,
rabboccami le lenzuola terrose
e la trapunta di muschio diserbato.
Vado a dormire, nutrice mia, mettimi a letto.
Mettimi una lampada  sulla spalliera;
una costellazione, quella che ti piaccia;
sono tutte belle: abbassala un pochino.
Lasciami sola: senti i boccioli spuntare…
un piede celestiale ti culla dall’alto
e un uccello ti tratteggia il suo canto
così puoi dimenticare … Grazie. Oh, una cortesia:
se lui chiamasse di nuovo per telefono
digli di non insistere, che sono uscita …
  
Alfonsina Storni (Argentina, 1892-1938)
Traduzione di Rocio Bolanos
  
  
 
 
 
 
 
  
El intruso
  
Amor, la noche estaba trágica y sollozante
cuando tu llave de oro cantó en mi cerradura;
luego, la puerta abierta sobre la sombra helante,
tu forma fue una mancha de luz y de blancura.
  
Todo aquí lo alumbraron tus ojos de diamante;
bebieron en mi copa tus labios de frescura;
y descansó en mi almohada tu cabeza fragante;
me encantó tu descaro y adoré tu locura.
  
¡Y hoy río si tú ríes, y canto si tú cantas;
y si duermes, duermo como un perro a tus plantas!
¡Hoy llevo hasta en mi sombra tu olor de primavera;
  
y tiemblo si tu mano toca la cerradura;
y bendigo la noche sollozante y oscura
que floreció en mi vida tu boca tempranera!
  
  
  
   
L’intruso
  
Amore, la notte era tragica e singhiozzante
quando la tua chiave d’oro cantò nella mia serratura;
poi, la porta si aprì sull’ombra gelida,
la tua forma fu una macchia di luce e bianchezza.
Tutto qui fu illuminato dai tuoi occhi di diamante;
bevvero dal mio calice le tue labbra di freschezza;
e riposò sul mio guanciale la tua testa fragante;
mi incantò la tua schiettezza e adorai la tua follia.
E oggi rido se ridi e canto se tu canti;
e se dormi, dormo come un cane ai tuoi piedi!
Oggi porto pure nella mia ombra il tuo profumo di primavera;
e tremo se la tua mano tocca la serratura;
e benedico la notte singhiozzante e oscura
che fiorì nella mia vita la tua bocca mattiniera!
  
Delmira Agustini (Montevideo, 1886–1914)
Traduzione di Rocio Bolanos
  
  
   
   
  
  
  
    
Dame la mano
    
Dame la mano y danzaremos;
dame la mano y me amarás.
Como una sola flor seremos,
como una flor, y nada más…
   
El mismo verso cantaremos,
al mismo paso bailarás.
Como una espiga ondularemos,
como una espiga, y nada más.
   
Te llamas Rosa y yo Esperanza;
pero tu nombre olvidarás,
porque seremos una danza
en la colina y nada más…
   
   
   
   
Dammi la mano
   
Dammi la mano e danzeremo
Dammi la mano e mi amerai
come un solo fiore saremo
come un solo fiore e nient’altro.
   
Lo stesso verso canteremo
allo stesso passo danzerai
Come una spiga onduleremo
come una spiga e nient’altro.
Ti chiami Rosa ed io Esperanza
ma il tuo nome dimenticherai
perchè saremo una danza
sulla collina e nient’altro.
   
Gabriela Mistral (Lucila Godoy Alcayaga) (Chile, 1889-1957)
Traduzione di Rocio Bolanos
  
  
   
   
   
   
   
    
Poeta soy
Para María y Mariano Coronado
  
Dolor del mundo entero que en mi dolor estalla,
Hambre y sed de justicia que se vuelven locura;
Ansia de un bien mayor que el esfuerzo apresura,
Voluntad que me obliga a ganar la batalla.
  
Sueño de toda mente que mi mente avasalla,
Miel de amor que en el pecho es río de dulzura;
Verso de toda lengua que mi verso murmura,
Miseria de la vida que mi vergüenza calla.
  
Poeta soy… y vengo, por Dios mismo escogida,
A soltar en el viento mi canto de belleza,
A vivir con más alto sentido de nobleza,
  
A buscar en la sombra la verdad escondida.
¡Y las fuerzas eternas que rigen el destino
Han de volverme polvo si equivoco el camino!
   
  
  
  
Poeta sono
Per María e Mariano Coronado
   
Dolore di tutto il mondo che esplode nel mio dolore,
Fame e sete di giustizia che diventano pazzia;
Ansia per un bene più grande che lo sforzo si affretta,
Volontà che mi costringe a vincere la battaglia.
  
Sogno di ogni mente che la mia mente travolge,
Miele d’amore che nel petto è un fiume di dolcezza;
Verso di ogni lingua che il mio verso mormora,
Miseria della vita che la mia vergogna tace.
  
Poeta, io sono … e vengo, da Dio stesso scelta,
Per lasciare al vento il mio canto di bellezza,
Per vivere con un più alto senso di eccellenza,
  
Per cercare nell’ombra la verità nascosta.
E le forze eterne che dominano il destino
Devono trasformarmi in polvere se sbaglio strada!
  
Claudia Lars (Carmen Margarita Brannon Vega) (El Salvador, 1899–1974)
Traduzione di Rocio Bolanos
  
  
  
  
  
  
  
  
En la memoria
 
En la memoria
hay rastros de serpientes
jeroglíficos trazados en jardines
palabras secretas en la arena
guedejas de caminos que se encuentran
el porvenir escrito en signos
y en el centro del laberinto, tu nombre.
 
En la memoria
hay ventanas abiertas al perfil de la luna
paisajes minerales
ramas de pájaros
estrellas pegadas a los vidrios
ardientes soles
cayendo en la boca del infierno
oscuros visitantes
embozados en azufrosas capas
el círculo de una falda roja
y tus diez dedos inventando la tarde.
 
En la memoria
hay rejas y un brazo de mar
azul y solitario
abriéndolas, cerrándolas
en un ir y venir de espumas.
 
Un río que corre
árboles adentro de una biblioteca
unas palabras que navegan
sobre las mesas de un café
un puente abierto a los amantes
y un caracol acumulando cantos en la playa.
 
En la memoria
avanzas alta marea de llamas
y retrocedes sobre la quemada arena por tu paso.
  
 
 
   
Nella memoria
 
Nella memoria
ci sono tracce di serpenti
geroglifici disegnati nei giardini
parole segrete nella sabbia
serrature di strade che sono
l’avvenire scritto a segni
e nel centro del labirinto, il tuo nome.
 
Nella memoria
ci sono finestre aperte sul profilo della luna
paesaggi minerali
rami di uccelli
stelle attaccate ai vetri
soli ardenti
cadendo nella bocca dell’inferno
visitatori oscuri
avvolti in strati di zolfo
il cerchio di una gonna rossa
e le tue dieci dita inventando il pomeriggio.
 
Nella memoria
ci sono grate e un braccio di mare
blu e solitario
aprendole, chiudendole
in un va e viene di schiume.
 
Un fiume che scorre
alberi all’interno di una biblioteca
alcune parole che salpano
sui tavoli di un caffè
un ponte aperto agli amanti
e una lumaca che accumula canzoni sulla spiaggia.
 
Nella memoria
sali come alta marea di fiamme
e torni sulla sabbia bruciata per il tuo passaggio.
  
Elena Garro (México, 1916-1998)
Traduzione di Rocio Bolanos
  
  
 
 
 
 
 
  
XI
  
Yo que en la vida solo he conocido
la rosa de presencia fugitiva;
yo que busqué la eterna siempreviva
del amor y su fuego defendido.
  
Yo que en el cauce de lo ya vivido
puse a gemir mi carne pensativa;
yo que ignoro la causa primitiva
de mi vivir y mi naciente olvido,
alabo el soplo de la primavera,
la incierta lumbre que en secreto admira
el despojado corazón que espera.
  
Alabo mi vivir humilde y denso,
mi corazón de tintes indefensos,
que es más oscuro cuanto más se mira.
  
  
  
  
XI
  
Io che nella vita ho conosciuto solo
la rosa della presenza fuggitiva;
Io che cercavo l’eterna sempreviva
di amore e il suo fuoco protetto.
  
Io che nel corso di ciò già vissuto
mise a gemere la mia carne pensierosa;
Io che ignoro la causa primitiva
della mia vita e del mio nascente oblio,
lodo il soffio della primavera,
il fuoco incerto che segretamente ammira
il cuore spogliato che aspetta.
  
Lodo la mia vita umile e densa,
il mio cuore di tinte indifese,
che più guardi più è scuro.
  
Ana Enriqueta Terán (Venezuela, 1918–2017)
Traduzione di Rocio Bolanos
  
  
  
  
  
  
  
  
 Las huellas
   
A orillas de las aguas recogidas
en la luz regular del suelo unidas
como si juntas siempre caminaran,
solas, parecería que se amaran,
en la sal de la espuma con estrellas,
sobre la arena bajo el sol las huellas
de nuestros pies desnudos
tan lejanos, y mudos.
Dejando una promesa dibujada
nuestra voz entretanto ensimismada
se divide en el aire y atraviesa
la azul crueldad de la naturaleza
mientras solos cruzamos
la playa y nos hablamos.
  
  
  
  
Le orme
   
Sulla riva delle acque raccolte
assieme nella luce regolare della terra
come se insieme camminassero sempre,
da sole, sembrerebbe che si amino
nella schiuma di sale con le stelle,
sulla sabbia sotto il sole le orme
dei nostri piedi nudi
così distanti e muti.
Lasciando una promessa disegnata
la nostra voce nel frattempo assorta
si divide nell’aria e attraversa
la crudeltà blu della natura
mentre da soli percorriamo
la spiaggia e ci parliamo.
   
Silvina Ocampo Aguirre (Argentina 1940–1993)
Traduzione di Rocio Bolanos
  
  
  
  
  
  
  
  
Y Dios me hizo mujer
   
Y Dios me hizo mujer,
de pelo largo,
ojos, nariz y boca de mujer.
Con curvas
y pliegues
y suaves hondonadas
y me cavó por dentro,
me hizo un taller de seres humanos.
Tejió delicadamente mis nervios
y balanceó con cuidado
el número de mis hormonas.
Compuso mi sangre
y me inyectó con ella
para que irrigara
todo mi cuerpo;
nacieron así las ideas,
los sueños,
el instinto.
Todo lo creó suavemente
a martillazos de soplidos
y taladrazos de amor,
las mil y una cosas que me hacen mujer todos los días
por las que me levanto orgullosa
todas las mañanas
y bendigo mi sexo.
   
  
  
  
E Dio mi fece donna
  
E Dio mi fece donna,
con capelli lunghi,
occhi, naso e bocca di donna.
Con curve
e fianchi
e dolci avvallamenti
e mi scavò dentro,
mi rese fabbrica di esseri umani.
Intrecciò delicatamente i miei nervi
e bilanciò con cura
il numero dei miei ormoni.
Compose il mio sangue
e mi iniettò con esso
per irrigare
tutto il mio corpo;
nacquero così le idee,
i sogni,
l’istinto
Tutto quello lo creò delicatamente
a colpi di mantice
e trapanate d’amore,
le mille e una cosa che mi fanno donna ogni giorno
per cui mi alzo orgogliosa
tutte le mattine
e benedico il mio sesso.
  
Gioconda Belli (Nicaragua, 1948)
Traduzione di Rocio Bolanos
  
  
  
  
  
  
  
  
Buscaré un bar
                -no una casa, no
                una vida-
para los dos
y haremos de la barra
hogar para los hijos
y de la máquina de tabaco
entretenimiento los días de lluvia.
Buscaré un bar para los dos
en el que el tiempo
espeso
lo sirvan en pintas
y la canción de moda
sea el leit motiv de nuestros besos.
Buscaré un bar
por si te marchas
                  -y no vuelves
y me duele.
Para no tener
el botiquín
muy lejos
   
  
  
  
 Cercherò un bar
                  -non una casa, non
                  una vita –
per entrambi
e faremo del bancone
una casa per i figli
e della macchinetta delle sigarette
un passatempo per i giorni di pioggia.
Cercherò un bar per entrambi
dove il tempo
denso
lo servano in boccali
e la canzone di moda
sia il leit motiv dei nostri baci.
Cercherò un bar
nel caso in cui te ne andassi
                    -e non tornassi
e mi facesse male.
  
Sofía Castañón (España, 1983)
Traduzione di Federico Imperato
  
  
  
  
  
  
  
  
Lo Cotidiano
  
Para el amor no hay cielo, amor, sólo este día;
Este cabello triste que se cae
Cuando te estás peinando ante el espejo.
Esos túneles largos
Que se atraviesan con jadeo y asfixia;
Las paredes sin ojos,
El hueco que resuena
De alguna voz oculta y sin sentido.
Para el amor no hay tregua, amor. La noche
Se vuelve, de pronto, respirable.
Y cuando un astro rompe sus cadenas
Y lo ves zigzaguear, loco, y perderse,
No por ello la ley suelta sus garfios.
El encuentro es a oscuras. En el beso se mezcla
El sabor de las lágrimas.
Y en el abrazo ciñes
El recuerdo de aquella orfandad, de aquella muerte.
   
  
  
  
Il quotidiano
  
Per l’amore non c’è paradiso, amore, solo questo giorno;
Questo capello che cade
Quando ti pettini davanti allo specchio
Quei lunghi sottopassi
Che si attraversano con affanno e asfissia;
Le pareti senza occhi,
La vuoto che risuona
Da una voce nascosta e senza significato.
Per l’amore non c’è tregua, amore. La notte
Diventa, improvvisamente, respirabile.
E quando un corpo celeste rompe le sue catene
E lo vedi zigzagare, impazzire e perdersi,
Non per quello la legge rilascia i suoi ganci.
L’incontro è al buio. Nel bacio si mescola
Il sapore delle lacrime
E nell’abbraccio stringi
Il ricordo di quell’abbandono, di quella morte.
  
Rosario Castellanos (México, 1925–1974)
Traduzione di Rocio Bolanos
  
  
  


  

Ilaria Boffa
propone alcune autrici di lingua inglese

 
  

  
Her Kind
  
I have gone out, a possessed witch,
haunting the black air, braver at night;
dreaming evil, I have done my hitch
over the plain houses, light by light:
lonely thing, twelve-fingered, out of mind.
A woman like that is not a woman, quite.
I have been her kind.
  
I have found the warm caves in the woods,
filled them with skillets, carvings, shelves,
closets, silks, innumerable goods;
fixed the suppers for the worms and the elves:
whining, rearranging the disaligned.
A woman like that is misunderstood.
I have been her kind.
  
I have ridden in your cart, driver,
waved my nude arms at villages going by,
learning the last bright routes, survivor
where your flames still bite my thigh
and my ribs crack where your wheels wind.
A woman like that is not ashamed to die.
I have been her kind.
  
  
  
  
Una come lei
  
Sono uscita, una strega posseduta
che caccia l’aria nera, più intrepida di notte
che sogna il male, ho fatto il mio dovere
al di sopra delle case normali, luce per luce:
creatura solitaria, con dodici dita,fuori di sè.
Una donna così non è una donna, del tutto.
Io sono stata come lei.
  
Ho trovato le caverne calde nei boschi,
le ho riempite di tegami, intagli, ripiani,
stanzini, sete, innumerevoli oggetti;
ho preparato cene per vermi e gli elfi:
lamentandomi,riordinando il disallineato.
Una donna così è fraintesa.
Io sono stata come lei.
  
Ho viaggiato nel tuo carro conducente,
ho salutato con le mie braccia nude i villaggi che passavano,
imparando gli ultimi luminosi tragitti, sopravvissuta
dove le tue fiamme ancora mordono la mia coscia
e le mie costole si incrinano dove turbinano le tue ruote.
Una donna così non si vergogna di morire.
Io sono stata come lei.
  
Anne Sexton (Stati Uniti, 1948-1973)
Traduzione di Marina de Carneri
  
  
  
  
  
  
  
  
I am Vertical
 
But I would rather be horizontal.
I am not a tree with my root in the soil
Sucking up minerals and motherly love
So that each March I may gleam into leaf,
Nor am I the beauty of a garden bed
Attracting my share of Ahs and spectacularly painted,
Unknowing I must soon unpetal.
Compared with me, a tree is immortal
And a flower-head not tall, but more startling,
And I want the one’s longevity and the other’s daring.
 
Tonight, in the infinitesimal light of the stars,
The trees and the flowers have been strewing their cool odors.
I walk among them, but none of them are noticing.
Sometimes I think that when I am sleeping
I must most perfectly resemble them —
Thoughts gone dim.
It is more natural to me, lying down.
Then the sky and I are in open conversation,
And I shall be useful when I lie down finally:
Then the trees may touch me for once, and the flowers have time for me.
 
 
 
 
Io sono verticale
 
Ma preferirei essere orizzontale. 
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo, 
né sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia, 
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali. 
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa: 
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia. 
 
Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle, 
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi. 
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso. 
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto –
con i miei pensieri andati in nebbia. 
Stare sdraiata è per me più naturale. 
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio, 
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre: 
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.
 
Sylvia Plath (Stati Uniti, 1932-1963)
Traduzione di Giovanni Giudici
 
 
 
  
  
 
 
 
Lines
 
While talking to my mother I neaten things. Spines of books by the phone.
Paperclips
in a china dish. Fragments of eraser that dot the desk. She speaks
longingly
of death. I begin tilting all the paperclips in the other direction.
Out
the window snow is falling straight down in lines. To my mother,
love
of my life, I describe what I had for brunch. The lines are falling
faster
now. Fate has put little weights on the ends (to speed us up) I
want
to tell her—sign of God’s pity. She won’t keep me
she says, she
won’t run up my bill. Miracles slip past us. The
paperclips
are immortally aligned. God’s pity! How long
will
it feel like burning, said the child trying to be
kind.
 
 
 
 
Linee
 
Mentre parlo con mia madre metto ordine fra le cose. Dorsi [di libri al telefono.
Graffette
su un piatto di porcellana. Frammenti di gomma che [punteggiano la scrivania.
Lei parla a lungo
della morte. Io comincio a inclinare tutte le graffette [nell’altra direzione.
Fuori
la finestra la neve cade dritto giù a linee. A mia madre,
amore
della mia vita, descrivo cosa ho mangiato a pranzo. Le linee [cadono più veloci
adesso. Il destino ha messo piccoli pesi alle estremità (per [farci accelerare) io
voglio
dirle – segno della pietà di Dio. Leinon vuole trattenermi
dice, lei
non vuole far salire la mia bolletta alle stelle. I miracoli ci [sfuggono. Le
graffette
sono allineate per l’eternità. Pietà di Dio! Per quanto
ancora
sembrerà bruciare, disse la bambina cercando di essere
gentile.
 
Anne Carson (Canada, 1950)
Traduzioni di Eugenia Nicolaci
 
  
  
  
  
  
  
  
The Journey
  
One day you finally knew 
what you had to do, and began, 
though the voices around you 
kept shouting 
their bad advice- 
though the whole house 
began to tremble 
and you felt the old tug 
at your ankles. 
“Mend my life!” 
each voice cried. 
But you didn’t stop. 
You knew what you had to do, 
though the wind pried 
with its stiff fingers 
at the very foundations, though their melancholy 
was terrible. 
It was already late 
enough, and a wild night, 
and the road full of fallen branches and stones. 
but little by little, 
as you left their voices behind, 
the stars began to burn 
through the sheets of clouds, 
and there was a new voice 
which you slowly 
recognized as your own, 
that kept you company 
as you strode deeper and deeper 
into the world, 
determined to do 
the only thing you could do- 
determined to save 
the only life you could save. 
  
  
  
  
Il Viaggio
  
Un giorno infine hai capito
cosa dovevi fare, e hai iniziato,
anche se le voci intorno
continuavano a urlare
i loro cattivi consigli –
anche se l’intera casa
si era messa a tremare
e hai sentito il vecchio strattone
alle caviglie.
“Sistema la mia vita!”
gridavano le voci.
Ma non ti sei fermato.
Sapevi cosa dovevi fare,
anche se il vento frugava
con le sue dita rigide
fino nelle fondamenta,
anche se la loro malinconia
era terribile.
Era già tardi
abbastanza, e la notte selvaggia,
e la strada ostruita
da rami e sassi caduti.
Ma poco a poco,
mentre lasciavi indietro le loro voci,
le stelle hanno iniziato a bruciare
attraverso il velo di nuvole,
e una nuova voce
che piano piano
riconoscevi come la tua
ti teneva compagnia
mentre ti inoltravi sempre più
nel mondo,
determinato a fare
l’unica cosa che potevi fare,
determinato a salvare
l’unica vita che potevi salvare
   
Mary Oliver (Stati Uniti, 1935-2019)
Traduzione di Silvia Pio
   
  
  
  
  
  
  
  
After love
  
Afterwards, the compromise.
Bodies resume their boundaries.
  
These legs, for instance, mine.
Your arms take you back in.
  
Spoons of our fingers, lips
admit their ownership.
  
The bedding yawns, a door
blows aimlessly ajar
  
and overhead, a plane
singsongs coming down.
  
Nothing is changed, except
there was a moment when
  
the wolf, the mongering wolf
who stands outside the self
  
lay lightly down, and slept.
  
  
  
  
Dopo l’amore
  
E dopo, il compromesso.
I corpi riprendono i loro confini.
  
Queste gambe, ad esempio, sono mie.
Le tue braccia ti riportano a te.
  
I cucchiai delle nostre dita, le labbra
riconoscono il loro possessore.
  
Le lenzuola sbadigliano, una porta
insensatamente sbatte
  
e nel cielo, cantilenando
un aereo scende.
  
Niente è cambiato, se non che
c’è stato un momento in cui
  
il lupo, il lupo mercante
che sta a guardia del sé
  
si è sdraiato sereno, e si è messo a dormire.
  
Maxine Kumin (Stati Uniti, 1925-2014)
Traduzione di Andrea Sirotti
  
  
  
  
  
  
  
  
The Colder The Air
  
We must admire her perfect aim,
this huntress of the winter air
whose level weapon needs no sight,
if it were not that everywhere
her game is sure, her shot is right.
The least of us could do the same.
  
The chalky birds or boats stand still,
reducing her conditions of chance;
air’s gallery marks identically
the narrow gallery of her glance.
The target-center in her eye
is equally her aim and will.
  
Time’s in her pocket, ticking loud
on one stalled second. She’ll consult
not time nor circumstance. She calls
on atmosphere for her result.
(It is this clock that later falls
in wheels and chimes of leaf and cloud.)
  
  
  
  
Più fredda l’aria
   
Dobbiamo ammirare la perfetta mira
di quest’aria d’inverno, cacciatrice provetta
la cui arma spianata non ha bisogno di mirino,
se non fosse che, lontano o vicino,
la sua preda è sicura, il colpo netto.
L’infimo tra di noi è così che tira.
  
Per ridurre il margine d’errore
sono ferme le barche e di gesso gli uccelli;
la galleria dell’aria coincide
con quella angusta che il suo sguardo incide.
Il centro del bersaglio, la pupilla,
collima con la mira e con l’ardore.
  
Ha il tempo in tasca, col suo ticchettio
segna il passo su un attimo. Non cura
momento e circostanze, lei, ha invocato
l’atmosfera per questo risultato.
( E l’orologio chiude l’avventura
tra ruote, foglie e nubi a scampanio).
  
Elizabeth Bishop (Stati Uniti, 1911-1979)
Traduzione di Damiano Abeni, Riccardo Duranti, Ottavio Fatica
  
  
  
  
  
  
  
  
Shooting Stars 
  
After I no longer speak they break our fingers
to salvage my wedding ring. Rebecca Rachel Ruth
Aaron Emmanuel David, stars on all our brows
beneath the gaze of men with guns. Mourn for the daughters,
  
upright as statues, brave. You would not look at me.
You waited for the bullet. Fell. I say Remember.
Remember these appalling days which make the world
for ever bad. One saw I was alive. Loosened
  
his belt. My bowels opened in a ragged gape of fear.
Between the gap of corpses I could see a child.
The soldiers laughed. Only a matter of days separate
this from acts of torture now. They shot her in the eye.
   
How would you prepare to die, on a perfect April evening
with young men gossiping and smoking by the graves?
My bare feet felt the earth and urine trickled
down my legs until I heard the click. Not yet. A trick.
  
After immense suffering someone takes tea on the lawn.
After the terrible moans a boy washes his uniform.
After the history lesson children run to their toys the world
turns in its sleep the spades shovel soil Sara Ezra…
  
Sister, if seas part us, do you not consider me?
Tell them I sang the ancient psalms at dusk
inside the wire and strong men wept. Turn thee
unto me with mercy, for I am desolate and lost. 
   
  
  
  
Stelle cadenti
  
Quando ormai non parlo più, ci spezzano le dita
per recuperare la mia fede nuziale. Rebecca Rachel Ruth
Aaron Emmanuel David, stelle sulle nostre fronti
sotto lo sguardo di uomini armati. In lutto per le figlie,
  
dritte come statue, ardite. Neanche mi guardavi.
Tu aspettavi la pallottola. Cadevi. Io dico Ricorda.
Ricorda questi giorni orribili che rendono il mondo
per sempre crudele. Uno vide che ero viva. Si slacciò
  
la cintura. Le budella mi si aprirono in uno squarcio lacero di paura.
Nel vuoto tra i cadaveri vedevo una bambina.
I soldati ridevano. E’ solo una questione di pochi giorni che separa
tutto questo dalle torture di oggi. Le spararono agli occhi.
  
Come ti prepareresti a morire in una perfetta sera d’Aprile
con giovani che chiacchierano e  fumano accanto alle fosse?
I miei piedi nudi sentirono la terra e urina mi colò
giù per le gambe finché non udii il click. Non ancora. Uno scherzo.
  
Dopo immense sofferenze c’è chi  prende il tè sul prato.
Dopo i terribili lamenti un ragazzo si lava l’uniforme.
Dopo la lezione di storia i bambini corrono ai loro giocattoli il mondo
si gira e rigira nel sonno le pale scavano terra Sara Ezra…
  
Sorella, se i mari ci separeranno, non penserai più a me?
Dì loro che cantavo gli antichi salmi all’imbrunire
dentro il reticolato e uomini forti piangevano. Volgiti
a me e abbi pietà, perché sono sola e afflitta.
  
Carol Ann Duffy (Regno Unito, 1955)
Traduzione di Floriana Marinzuli e Bernardino Nera
  
  
  
  
  
  
  
  
Still I Rise
  
You may write me down in history
With your bitter, twisted lies,
You may trod me in the very dirt
But still, like dust, I’ll rise.
  
Does my sassiness upset you?
Why are you beset with gloom?
‘Cause I walk like I’ve got oil wells
Pumping in my living room.
  
Just like moons and like suns,
With the certainty of tides,
Just like hopes springing high,
Still I’ll rise.
  
Did you want to see me broken?
Bowed head and lowered eyes?
Shoulders falling down like teardrops.
Weakened by my soulful cries.
  
Does my haughtiness offend you?
Don’t you take it awful hard
‘Cause I laugh like I’ve got gold mines
Diggin’ in my own back yard.
  
You may shoot me with your words,
You may cut me with your eyes,
You may kill me with your hatefulness,
But still, like air, I’ll rise.
  
Does my sexiness upset you?
Does it come as a surprise
That I dance like I’ve got diamonds
At the meeting of my thighs?
  
Out of the huts of history’s shame
I rise
Up from a past that’s rooted in pain
I rise
  
I’m a black ocean, leaping and wide,
Welling and swelling I bear in the tide.
Leaving behind nights of terror and fear
I rise
Into a daybreak that’s wondrously clear
I rise
Bringing the gifts that my ancestors gave,
I am the dream and the hope of the slave.
I rise
I rise
I rise.
  
  
  
  
Ancora mi alzo
  
 Mi potresti scrivere nella storia
con le tue bugie amare, rigirate.
Mi potresti calpestare nel fango
ma io, come polvere, ancora mi alzerò.
  
La mia insolenza ti turba?
Perché sei irto di tristezza?
perché cammino come avessi pozzi di petrolio
che pulsano nel mio salotto.
  
Come le lune e i soli
con la certezza delle onde
come le speranze che si rialzano,
io ancora mi alzerò.
  
Volevi vedermi distrutta?
capo chino e occhi bassi?
spalle pendenti come lacrime,
appesantite dai miei pianti sentimentali?
  
La mia superbia ti offende?
non te la prendere troppo,
perché io rido come avessi mine d’oro
scavate nel mio giardino.
  
Puoi spararmi con le tue parole,
puoi tagliarmi coi tuoi occhi,
puoi uccidermi col tuo odio
ma io ancora, come aria, mi alzerò.
  
La mia sensualità ti dispiace?
ti sorprende forse che io ballo
come fossi coperta di diamanti
all’inizio dei miei fianchi?
  
Fuori dalle capanne dell’imbarazzo della storia
io mi alzo.
Sopra il passato che si radica nel dolore
io mi alzo.
Sono un oceano nero, che salta ed è largo.
Crescendo e aumentando, io mi reco nella marea.
  
Tralasciando notti di terrore e paura
io mi alzo.
Ritrovandomi in un’alba meravigliosamente chiara
io mi alzo.
Portando doni che mi furono lasciati dagli antenati,
io sono sogno e speranza degli schiavi.
Io mi alzo.
Mi alzo,
mi alzo.
  
Maya Angelou (Stati Uniti, 1928-2014)
Traduzione di Marta Bardazzi
  
  
  
  
  
  
  
  
Pain
  
At my wits’ end
And all resources gone, I lay here,
All of my body tense to the touch of fear,
And my mind,
  
Muffled now as if the nerves
Refused any longer to let thoughts form,
Is no longer a safe retreat, a tidy home,
No longer serves
  
My body’s demands or shields
With fine words, as it once would daily,
My storehouse of dread. Now, slowly,
My heart, hand, whole body yield
  
To fear. Bed, ward, window begin
To lose their solidity. Faces no longer 
Look kind or needed; yet I still fight the stronger 
Terror – oblivion – the needle thrusts in.
  
  
  
  
Dolore
  
Non so più cosa fare,
ho esaurito tutte le risorse, sono sdraiata qui,
tutto il mio corpo teso al tocco della paura,
e la mia mente,
  
soffocata come se i nervi 
si rifiutassero di lasciare che i pensieri si formino,
non è più un luogo sicuro dove ritirarsi, una casa ordinata,
non risponde più
  
ai bisogni del mio corpo, non fa più scudo
con belle parole, come prima avrebbe fatto ogni giorno, 
al mio pozzo di terrore. Ora, lentamente,
il mio cuore, le mie mani, tutto il corpo si abbandonano
  
alla paura. Letto, corsia, finestre iniziano
a perdere la loro solidità. I volti non sono più
gentili o desiderati, ma combatto ancora il terrore
più grande – l’oblio – che l’ago mi inietta.
  
Elizabeth Jennings (Regno Unito, 1926-2001)
Traduzione a cura di Letizia Merello
  
  
  
  
  
  
  
  
The Dream of a Common Language
  
I
  
A conversation begins
with a lie. And each
speaker of the so-called common language feels
the ice-floe split, the drift apart
as if powerless, as if up against
a force of nature
A poem can begin
with a lie. And be torn up.
A conversation has other laws
recharges itself with its own
false energy. Cannot be torn
up. Infiltrates our blood. Repeats itself.
Inscribes with its unreturning stylus
the isolation it denies.
  
  
II
  
The classical music station
playing hour upon hour in the apartment
the picking up and picking up
and again picking up the telephone
The syllables uttering
the old script over and over
The loneliness of the liar
living in the formal network of the lie
twisting the dials to drown the terror
beneath the unsaid word
  
  
III
  
The technology of silence
The rituals, etiquette
the blurring of terms
silence not absence
of words or music or even
raw sounds
Silence can be a plan
rigorously executed
the blueprint to a life
It is a presence
it has a history a form
Do not confuse it
with any kind of absence
  
  
IV
  
How calm, how inoffensive these words
begin to seem to me
though begun in grief and anger
Can I break through this film of the abstract
without wounding myself or you
there is enough pain here
This is why the classical or the jazz music station plays?
to give a ground of meaning to our pain?
  
  
V
  
The silence that strips bare:
In Dreyer’s Passion of Joan
Falconetti’s face, hair shorn, a great geography
mutely surveyed by the camera
If there were a poetry where this could happen
not as blank spaces or as words
stretched like a skin over meanings
but as silence falls at the end
of a night through which two people
have talked till dawn.
  
  
  
  
I
  
Una conversazione inizia
con una menzogna. E chiunque
parli la cosiddetta lingua comune avverte
lo spaccarsi dell’iceberg, la deriva
come impotente, come contro
una forza della natura
Una poesia può iniziare
con una menzogna. Ed essere strappata.
Una conversazione segue altre leggi
si ricarica con la propria
falsa energia. Non può essere
strappata. Ci si infiltra nel sangue. Si ripete.
Con la sua punta irreversibile incide
l’isolamento che nega.
  
  
II
  
Il programma di musica classica
che per ore e ore risuona nell’appartamento
il sollevare e risollevare
e sollevare ancora il telefono
le sillabe che scandiscono
ora e sempre il vecchio soggetto
la solitudine del bugiardo
che abita la rete convenzionale della bugia
gira i comandi per affogare il terrore
sotto la parola non detta
  
  
III
  
La tecnologia del silenzio
I rituali, il bon ton
la confusione di termini
silenzio non assenza
di parole o musica o persino
suoni grezzi
II silenzio può essere un piano
rigorosamente eseguito
la cianografia di una vita
È una presenza
ha una storia una forma
Non confonderlo
con alcun tipo di assenza
  
  
IV
  
Quanto calme, quanto inoffensive queste parole
cominciano a sembrarmi
se pure iniziate in dolore e rabbia
Posso sfondare questa pellicola di astrazione
senza ferire me o te?
Qui c’è abbastanza sofferenza
È per questo che suona la stazione classica o jazz?
Per dare una base di senso alla nostra sofferenza?
  
  
V
  
Il silenzio che denuda:
nella Passione di Giovanna d’Arco di Dreyer
la faccia di Falconetti, capelli tosati, una vasta geografia
silenziosamente percorsa dalla cinepresa
Se esistesse una poesia in cui ciò potesse accadere
e non come spazi bianchi o parole
stese come una pelle sui significati
ma come il silenzio che viene alla fine
di una notte che due persone hanno passato
parlando fino all’alba.
  
Adrienne Rich (Stati Uniti, 1929-2012)
Traduzione di Maria Luisa Vezzali