Appunti dal Venezuela – 2017: vivere nelle proteste – Antonio Nazzaro

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Appunti dal Venezuela – 2017: vivere nelle proteste, Antonio Nazzaro (Edizioni Arcoiris 2017).

Il Venezuela è un angolo di paradiso in cui il demonio ha stabilito la sua casa. In questa terra caraibica che ha accolto milioni di migranti che lasciavano l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale e nei decenni successivi, come una madre amorevole che riceve un figlio fra le braccia, circa dodici anni fa “ha dato terra” ad Antonio Nazzaro, che l’ha scelta e amata e mai abbandonata. Questo libro non intende dare una corretta chiave di lettura di ciò che sta succedendo in Venezuela da oltre due mesi e che affonda le sue radici negli ultimi diciannove anni della storia venezuelana, non intende accusare uno schieramento politico e osannarne un altro. Questo libro vuole solo gridare e immortalare come una fotografia, il dolore lacerante di chi assiste un malato terminale nell’attesa che avvenga un miracolo. […] Il Venezuela oggi è una dolorosa ferita aperta nei cuori di chi lì è nato o ci ha vissuto, ma è stato costretto a racchiudere il suo mondo e la sua vita in una valigia di 20 kili con cui ha dovuto percorrere il pavimento a mosaico disegnato da Carlos Cruz Diez per l’aeroporto di Maiquetía, calpestato da milioni di venezuelani vittime di una vera e propria diaspora che ha spezzato intere famiglie, per poter costruire una vita dignitosa in qualunque altra parte del mondo in cui non debba continuamente essere umiliato da chi sostiene che le code (lunghe anche 24 ore) davanti al supermercato, siano uno strumento di socializzazione. Uno strumento di socializzazione che spesso si trasforma in momento di violenza o addirittura morte mentre ci si contende l’ultimo chilo di pollo. Nei suoi “Appunti dal Venezuela”, Antonio Nazzaro sceglie di non citare i nomi delle persone morte durante questi due mesi di protesta perché vuole che abbiano un solo volto, e che si chiamino Daniel, Diego, Neomar o Luis poco importa, il loro volto è quello di tutti e la loro morte appartiene a tutti.

Con queste parole Barbara Stizzoli introduce Appunti dal Venezuela – 2017: vivere nelle proteste di Antonio Nazzaro. Un libro che non è un diario né un lamento ma una cronaca dall’interno che racconta e contestualizza attraverso il filtro poetico (che non necessariamente si esprime nel verso ma testimonia uno sguardo che potremmo definire storicamente critico) i fatti recenti accaduti in Venezuela. E questo perché Nazzaro è giornalista e poeta per cui avezzo a tale rapporto con la realtà. Una realtà che si disgrega e si ricompone dolorosamente e riporta alla memoria fatti più remoti fotografando con brevi annotazioni (da cui il titolo dell’opera) una dinamica della società che diventa dinamica umana, del comportamento umano.

Antonio Nazzaro nasce a Torino nel 1963. Poeta, giornalista, traduttore e mediatore culturale, ancora prima di terminare gli studi inizia a collaborare con i giornali L’Ora di Palermo, La Stampa di Torino, Stampa Sera e con l’emittente televisiva Videouno. Nel 1982 vengono pubblicate le sue prime poesie nell’antologia di testi poetici giovanili Il rinoceronte tra le nuvole (Genesi Editrice). Trasferitosi in Messico si diploma presso l’UNAM, Università Nazionale Autonoma del Messico, come professore di lingua italiana per stranieri. Attualmente vive a Caracas dove è stato coordinatore didattico dell’Istituto Italiano di Cultura e capo redattore del giornale La Voce d’Italia. Ma Antonio è anche figlio del nano, uomo straordinario che similmente a lui ha vissuto e testimoniato le crisi storiche. Negli Appunti dal Venezuela ne troviamo un quadro rapido ma preciso:

Zambonina, nonostante i suoi umori tendenti alla tempesta, mi riceve con un sorriso, il bacio di sempre e poi: «Dov’è il nano e come sta?». «In camera, oggi non va tanto». Apro la porta su un letto che sembra una pianura, un ciuffo bianco di barba e capelli e due occhi chiari nel mezzo. Appena mi vede gli occhi sorridono e la mano stacca la maschera dell’ossigeno dal viso a mostrare un sorriso a tagliare la sofferenza.
«Come stai nano?».
«Oggi non va tanto, tu?».
«Lavoro, metto insieme degli appunti sul Venezuela».
«Mio figlio scrittore» e ride.
«Colpa tua. Hai sempre detto che dovevo fare il giornalista».
Ridiamo anche se gli costa ridere e il suo respirare affannoso mi toglie l’aria.
«Ma che succede in sto paese, che vogliono i fascisti?».
«Pa’ va bene che quando vedi una bandiera rossa ti sorride il cuore, ma adesso qui è diverso».
«Non so, ma so che da bambino due volte i tedeschi con i fascisti mi hanno messo al muro e quando facevo il fotografo per l’Unità la polizia mi prendeva a manganellate».
«Per questo Pa’ noi possiamo stare con la polizia? Con chi reprime dicendo di difendere una rivoluzione che non c’è mai stata?».
Non mi risponde, la smorfia di dolore che gli stringe i lineamenti del volto in quel respirare che sembra un acchiappare farfalle con le mani si fa più intensa.
«Mi fa male la ferita sul piede, guardala un po’».
«Fammi vedere», sollevo il lenzuolo che nasconde un corpo che è una linea d’ossa sporcate di pelle e penso: tu, vecchio stalinista ma ribelle sempre, non riesci ad accettare che le bandiere rosse ti abbiano tradito. «La ferita va bene nano, si sta rimarginando». «Fa male».
«Lo so Pa’ fa male forse più al cuore. Va bè Pa’, torno a scrivere, cerca di camminare un po’».
«Ciao e grazie».

Il nano nel frattempo, da quell’11 maggio dell’annotazione alla data in cui scrivo queste righe (18 agosto), è venuto a mancare. Un nano che si era preso le manganellate fasciste e che in quest’opera rappresenta l’ossatura costituente dei giorni vissuti e raccontati, come dichiara Antonio in dedica: A mio Padre che mi ha insegnato la bontà. Perché se gli adagi vogliono la storia fatta dai vincitori quanto dai grandi uomini il nano sembra avere insegnato all’autore che non sempre la storia può essere vista attraverso questo filtro. Possono esserci altre interpretazioni: quelle degli uomini piccoli, degli uomini vivi, del bambino torturato quanto del violinista a cui distruggono lo strumento. Ed è questo il concetto di bontà a cui possiamo immaginare faccia riferimento Antonio in dedica. La bontà che rinuncia alla definizione di nemico (18 maggio: Il Governo lancia la lista dei giornalisti rei di difendere l’opposizione. L’opposizione pubblica la lista dei giornalisti favorevoli al Governo. Ho amici in entrambe le liste e nessun nemico) per preferire il racconto delle storie (E poi l’ansia che ti prende quando un amico non arriva all’appuntamento e non risponde al telefono) che comunque resta consapevole della parte peggiore e più folle dell’uomo (21 maggio: Perché non sappiamo cosa viviamo e tutto si fa epico in questo mondo d’istantanee a raccontare morti e feriti come se fosse un gioco. Si cammina quando appare un gruppo di giovani, come nelle manifestazioni di tanti anni fa in Italia, organizzati per scontrarsi con la polizia. Una madre li ferma e gli chiede se può fotografarli insieme al suo bambino di otto anni e dice: «Anche tu entrerai nella resistenza». Penso ai racconti di mio nonno partigiano. Che follia).

Particolarmente significativo, e in linea con la bontà che il nano ha insegnato all’autore, è il racconto del viaggio a Bogotá al Primo Incontro di scrittori internazionali organizzato dalla Fondazione Renascentro a cui Antonio ha partecipato:

Domani si va a Bogotá al Primo Incontro di scrittori internazionali organizzato dalla Fondazione Renascentro: un gruppo di poeti che ha ancora voglia di sognare.
Sto scappando? Non credo, non si scappa sapendo di tornare. Ma ho voglia d’aria, la poesia non sarà quella letta o scritta, ma l’andare camminando dal mattino alla sera e incontrare qualcuno con cui sedersi per ascoltare.

[…]

Dico a Mario che se non mi siedo, dovrà leggere lui le mie poesie all’incontro. Sorride e si gratta la barba e ci sediamo su una panchina. «Sai, da quando sono nato non ho vissuto un solo giorno di quella che in Europa chiamate pace. E non credere che lo dica come colombiano per la guerriglia e i paramilitari, i militari e il narcotraffico, no. Pensaci bene: in che paese del Latino America si è vissuta la pace? In nessuno, almeno negli ultimi cinquant’anni».

[…]

Il viaggio dall’aeroporto a casa è solo un resoconto di morti, repressione e attesa, lunghi silenzi scorrono al finestrino, in alcune zone si vedono tracce degli scontri e militari accompagnano il ritorno. «Come finirà Antonio?». Ancora finestrini silenti. «È stato bello leggere le mie poesie nella Biblioteca Nazionale della Colombia».

Perché la bontà che il nano gli ha insegnato possiamo immaginare essere anche la volontà, non solo l’attitudine, della poesia. Una poesia che sia un andare camminando dal mattino alla sera e incontrare qualcuno con cui sedersi per ascoltare nonostante abbiano assassinato due ragazzi, uno con un colpo alla testa e l’altro nel petto nello Stato Barinas. Che fa eco alle parole di una poetessa giovane d’etá ma non di penna, capace di fare poesia pedalando per la città, che Antonio incontra (Margarita Losada) e che gli chiede, non senza arguzia: «Sarà esistito un poeta che sosteneva le proteste recitando le sue poesie?». E alla quale l’immaginazione dell’autore risponde: Sorrido e vedo il poeta come il Bardo del fumetto Asterix: imbavagliato e legato a un ramo dell’albero.

Questa bontà che in fondo altro non è che la consapevolezza che tutti parlano di pace ma la pace non è tutta uguale spinge non di rado Antonio a riflessioni amare (Il potere che da un’uniforme, spesso, in questi Paesi, è quello di togliere la dignità a chi la indossa), testimoni dell’assurdità dell’obiettivo dichiarato dagli schieramenti contrapposti senza che nessuno di fatto riesca ad avvicinarcisi:

Tutti insieme, chavisti e oppositori, vogliono la testa dell’altro. Tutti parlano di Popolo, Patria. Tutti vogliono un ritorno alla normalità, ma nessuno spiega quale. Tutti hanno morti da piangere ma nessuna vita da salvare. Siamo un paese in balia di violenti da una parte e dall’altra. Tutti i leader politici di questa terra sono coinvolti in atti di violenza nella loro storia. E adesso perché loro continuino o tornino a comandare s’ammazzano ragazzini.

Contraddizioni che fanno del Venezuela una caserma militare dove parlano solo i proiettili e gli stivali come spiega in postfazione Juan Carlos Méndez Guédez. Dove il Venezuela non è più solo il Venezuela ma un esempio del mondo, di quello che è successo, che succede e che potrà succedere. Appunto come dice l’autore chiudendo le sue annotazioni:

È un silenzio spesso di quelli che impastano d’amaro la bocca come un presagio. Saranno gas o saranno nuvole che disegnano il cielo ogni giorno un po’ più basso come se s’inclinasse a rovistare anche lui nella spazzatura. Quale libertà difende il manganello rivoluzionario e quale la pietra dell’incappucciato?

 

Alessandro Canzian
 
 
 
 
 
 

Di seguito alcuni estratti dal libro Appunti dal Venezuela – 2017: vivere nelle proteste di Antonio Nazzaro, per gentile concessione dell’autore.
 
 
 
 
L’emigrante lo riconosci
perché anche sotto il sole del mezzogiorno
disegna
due ombre

 
 

Quando ho scritto questa poesia sapevo di raccontare inevitabilmente una metà della storia, o se preferite, di una delle ombre: quella che ha scelto farsi ricordo su questa terra dal cielo così alto e dalla luna girata al contrario a disegnare un coniglio. La carta d’identità dice Riva Ligure, il passaporto dice venezolano, io apro la finestra come s’apre il sorriso della donna al fianco. Figlia di questa megalopoli schiantata nella sua corsa verso il mare contro le pendici dell’Ávila e stretta in una valle dalle colline improvvisate cui aggrapparsi su cui fare casa. Amo questa terra semplicemente perché mi ha dato terra, quella forse persa o mai avuta prima e che adesso entra dalla finestra e mi fa riconoscere.

 
 
 
 
3 maggio 2017
09:00 a.m.
 

Un blindato della polizia militare si lancia contro i manifestanti…
Avanti e indietro, indietro avanti come un orologio americano che si è scordato il tempo.

 
 
 
 
2014 Marzo Diario animal
(Diario animal → Serie di appunti del 2014 racchiusi in un titolo rabbioso)
 

Caracas alla televisione non si riconosce mentre l’Ávila s’appresta al nuovo giorno a inondare di verde la città. Sulla strada le ceneri di una barricata ricordano le proteste di questi giorni mentre le auto zigzagando le superano e vanno.
Notte, lo sbarramento sotto casa è pronto. I costruttori si nascondono negli edifici protetti da fili spinati attraversati da diecimila volt. Le luci delle entrate sono spente, dall’oscurità sale il ritmare delle casseruole. Nel corridoio del palazzo un foglio appiccicato alla parete spiega i messaggi dei fischietti che a volte rompono il fragore delle pentole: arriva la Guardia Nazionale o arrivano dal barrio.
La depressione è mancanza di relazione voluta, silenzio quasi cosmico e un lasciare scorrere immobile il tempo come non ci fosse desiderio.
Voci dicono che fra quindici giorni ci sarà un golpe, o peggio, la guerra civile.

Strana storia quella del Venezuela: Hugo Chávez tenta un colpo di Stato ma fallisce, finisce in carcere e poi riceve il perdono, si presenta alle elezioni e diventa Presidente. I tre leader dell’opposizione attuale assistono e partecipano nel colpo di Stato contro Chávez.
La politica in Venezuela ha nel suo DNA come strategia estrema il Colpo di Stato.
All’alba del fallito golpe contro Chávez nasce e prende forma una nuova idea di società politica e istituzionale che si chiama “unione civicomilitare” il cui lemma è “l’esercito del popolo non alzerà mai più le armi contro il suo popolo”.

 
 
 
 
3 maggio 2017
12.20 p.m.
 

Stanotte sono scesi come sciame d’api dai barrios per togliere le barricate, dall’oscurità arrivano insulti e qualcuno lancia oggetti dalle finestre. S’avvicina il rombo delle moto della Guardia Nazionale che non interviene ma cerca di evitare uno scontro tra le parti. In verità lo scontro è impossibile nessuno dei miei vicini ha il coraggio di affrontare i “marginali” del barrio.
La violenza in questi palazzi è una crisi di nervi, nelle stanze delle case dei barrios è una compagna di gioco.

 
 
 
 
Caracas
dell’inferno era uscita
alta e lunga
gli occhi d’azzurro screziati di verde
il passo infinito
della bellezza sospesa
e anche dai ritmi della terra
il petto cime che raggiungono
le stelle
le unghie come case
aggrappate una sull’altra
della povertà che sfiora
le braccia avenidas verso
l’infinito
sempre sul punto
di toccare la luna il sole
sempre questo passare
di te Caracas

 
 
 
 
4 maggio 2017
 

Nello stato Carabobo un giovane di vent’anni muore per un colpo di pistola alla testa mentre manifestava.

 
 
 
 
2014 marzo Diario animal
 

Morire a vent’anni è sempre un delitto ma diventa una follia morire per delle idee che non occupano centoquaranta caratteri…
Seduto nel callejon de la puñalada vede gli opposti politici camminare per il boulevard di Sábana Grande ciascuno con la sua divisa bianca o rossa e sventolando la stessa bandiera, quella del Venezuela.
Cris, giovane new freak, con il nome della figlia tatuato sul volto urla alla bionda in bianco che passa veloce: «Voglio uscire con te ed anche con il tuo chirurgo plastico».
La bella Breyer va tejiendo nel banco al lato, a vederla sembrerebbe un giorno qualsiasi mentre la televisione trasmette le immagini degli scontri di piazza. Mi guarda chiedendomi: «¿Y eso pasó en Caracas?». Ognuno ha la sua città.
Un bambino vestito da Bolívar passa saltellando accompagnato da una bimba vestita da poliziotta.

 
 
[…]  
 
Ti ho baciato in fronte
un gesto nuovo
su quella spiaggia mossa
dall’onda bianca
una mano sulla spalla
a misurare la forza
delle labbra all’appoggiarsi
un gesto per imparare
che non siamo
né figlio né padre
ma un bacio
che non vuole
finire.

 
 
 
 

Se non ci mandassero le medicine dall’Italia sarebbe già morto nella penuria di medicinali e chissà quanti come lui muoiono così: senza medicine.

 
 
 
 
03:00 p.m.
 

Ma davvero crediamo che delle idee valgano una vita umana, che ci sia un modello di vita che valga più della vita? Non è poi questo la decadenza delle ideologie e delle religioni, avere la presunzione d’essere più importanti della vita umana?
È notte ed è ancora silenzio e quest’insonnia che mi insegue per la casa come un tarlo a masticare l’oscurità e il sonno.

 
 
[…]  
 
13 maggio 2017
Troppo presto per guardare l’ora
 
È una mattina americana
in una stanza dalla finestra
cielo nuvole odore a caffè
della vicina colombiana o italiana
ma tutti sospesi in questo cielo di mezzo
che dicono Venezuela

 
 
 
 
09:00
 

Da quando è iniziata la scarsità di prodotti basici le risposte politiche e dei commercianti e della gente hanno mostrato da un lato l’incapacità dei governanti, dall’altro la cultura della speculazione e del rubare.
Il Governo lancia continuamente proclami contro la guerra economica che subisce il paese.
Si mettono lettori d’impronte digitali nei supermercati per evitare l’accaparramento dei prodotti, ma sono una fugace apparizione.
Una delle misure più strane viene presa a settembre del 2016 quando, per combattere quella che già non è scarsità di alimenti, ma spesso fame, sono nominati diciotto Generali a protezione ciascuno di un prodotto. Nasce così il Generale della carta igienica.
I prezzi dei prodotti sono fuori controllo, ogni commerciante specula a seconda della zona dove vive e se fai l’errore di pagare con il bancomat ti fanno pagare un 10% in più. Le panetterie fuori dall’orbita delle zone povere smettono di produrre pane al prezzo controllato e si trovano solo tipi di pane fuori dalla possibilità economica della gente.
Negli spazi del mercato nero, le guerre tra le bande sono all’ordine del giorno e spesso ci si ritrova in mezzo a risse e sassaiole sotto lo sguardo distratto dei poliziotti probabilmente comprati con pacchi di riso e farina di mais e spesso collusi o complici del bachaqueo.
In questa guerra della fame, del tutti contro tutti, a segnare un solco definitivo nella già divisa società venezuelana, appaiono nell’aprile dello scorso anno i Clap, acronimo di Comitati Locali di Approvvigionamento e Produzione. In pratica i rappresentanti delle comunità organizzate vanno di casa in casa distribuendo a prezzo regolato i prodotti di prima necessità. Il presidente Maduro nel marzo di quest’anno annuncia: «I Clap devono essere la massima espressione della rivoluzione economica di base».

 
 
[…]  
 
11:00 a.m.
 
Caracas è una vecchia prostituta
sia a destra che a sinistra del Guaire
senza un pensiero che non sia di uno solo
l’amore e l’amicizia una stanza in affitto
La vita un azzardo da lanciare con gli occhi
chiusi nell’assenza verde della speranza
e un mango triste esplode sull’asfalto
una vita qualsiasi

 
 
[…]  
 
16 maggio 2017
05:44 p.m.
 
Prima dell’alba si scrivono i requiem
quando non sai se il buio finirà
quando la voce è bassa per sentire i morti
e non svegliare i vivi
piegati nell’atea preghiera
di trattenere l’oscurità
e non ci sia altro mattino
di pianto

 
 
[…]  
 
19 maggio 2017
06:34 a.m.
 
la città è un balcone con un cielo da inventare
come la carezza caduta pietra ed il sentire
cerchi di pozzanghera si disperdono
a lambire questi occhi di tristezza
appoggiata ai muri

 
 
[…]  
 
10:37 a.m.
 

Il primo omicidio politico non risolto del Venezuela è la morte di Sucre, il miglior amico di Bolívar. Neanche il Libertador de America è riuscito ad avere giustizia.

 
 
 
 
02:41 p.m.
 

Un bambino di undici anni della etnia Wayuu è stato vittima di torture da parte della Guardia Nazionale Bolivariana. Sul corpo, il bambino presenta bruciature di terzo grado, e segni d’essere stato legato con le braccia dietro alla schiena. Il liquido di una bomba lacrimogena, colatogli sulla pelle, gli ha provocato altre ustioni sulla schiena.

 
 
 
 
03:16 p.m.
 
abbiamo occhi senza palpebre
per non perdere il pianto
e non mancherà il pane o la poesia
ma semplicemente l’umanità
 
 
[…]  
 
24 di maggio 2017
00:00 a.m.
 

Il personaggio del giorno della rete.
È dai tempi della Bosnia che, guerre o non guerre, proteste e cose simili, appare un musicista armato del suo strumento che affronta l’oppressore di turno. Anche qui abbiamo il musicista della ribellione. È un violinista. Un ragazzo diviso a metà tra nero ed indigeno, una barba imberbe e occhi grandi. Il cappellino girato all’indietro, la visiera dà fastidio mentre suona, vestito con i colori della bandiera del Venezuela e con una bandiera posta a mo’ di mantello. La custodia del violino a tracolla. Da lontano potrebbe sembrare un super eroe armato di un violino paralizzante, ma non è così. Viene circondato dagli agenti della polizia in moto. Gli strappano le corde del violino, poi glielo tolgono dalle mani. Quando torna tra le sue, lo strumento inservibile oramai paralizza il suono delle lacrime che corrono sul suo viso.
La sua storia ha fatto il giro della rete e molti sono quelli, famosi e non, che hanno già inviato uno strumento nuovo al musicista.
Ha ricevuto così tanti violini che è possibile vederlo in un video in cui li regala a bambini che vogliono imparare a suonare.

 
 
[…]  
 
Che uniformi portano i morti
quale distintivo chiude gli occhi
ed apre paradisi dai fili ferrati
vivi di paura ed occhi poliziotti
amici e nemici tesi e d’amore trafitti
appesi all’orizzonte marino
forse dietro la montagna si staglia

 
 
[…]  
 
23 giugno 2017
Caracas
07:47 a.m.
 
divano comodo
televisore acceso
il poliziotto da dietro un
cancello spara a un
manifestante
una volta, un’altra e
un’altra ancora
il corpo del giovane si
piega tre volte su se stesso
poi riappare trascinato e
mezzo sollevato da dei
compagni
più tardi viene data la
notizia della sua morte.
Appare il presidente e
quasi si burla: da domani
la polizia userà
solo acquetta e bombette
lacrimogene
Gli occhi si spengono
come le televisioni di un
tempo
in un unico e solo punto
bianco a sparire nel nero.
Buongiorno Caracas