Antonio Nazzaro

Bozza automatica 341
 
Michele Paoletti intervista Antonio Nazzaro
 
 

Emigrante senza razza né terra, uomo del mondo che nel mondo si disperde come una nuvola nel vento. Questa condizione di estrema precarietà è un continuo ricostruire e ricostruirsi nella disperata speranza di un tempo emigrante. Uomini e donne che attraversano paesi e continenti spesso guardando indietro, verso ciò che lasciano. Resta la solitudine dei lunghissimi viaggi, la condivisione di spazi angusti che crea un legame prezioso tra chi condivide questa sorte di generazioni di valigie e foto di famiglia. Vite sospese tra terra, cielo e mare, corpi in equilibrio tra gli elementi, semi dispersi nel mondo in attesa di posarsi, riposarsi e germogliare.

 
 

Come nascono le tue poesie?

Antonio è un bambino solo non perché non gli piaccia giocare con gli altri bambini, ma è chiuso nel silenzio di una sorella che non parla non vede e non sente ed ogni settimana quel viale alberato che porta in quel palazzo della follia dove la sorella, chissà se ha mai saputo d’esserlo, legata con corde ad un letto, mentre urla e strepiti riempiono i corridoi, non riesce nemmeno a dargli uno sguardo. Lei non ha mai aspettato e lui non è mai arrivato.

Sono i banchi della scuola elementare che vedono nascere la sua prima poesia dedicata al nonno, di cui porta il nome, partigiano e nelle parole,  la frase:” Adda venì Baffone”. Nel giorno della lettura per i genitori Antonio resta in silenzio. É forse questo, la poesia, il dialogo con un mondo di adulti che non ti vogliono: “Se la sorella è così anche lui non sarà tanto normale e nemmeno la sua famiglia”. Sono anni di sforzi per dimostrare di non essere come sua sorella, tra sport e medaglie per il migliore alunno e poesie che sono un urlo silenzioso. Poi saranno gli anni del liceo e di fogli che riempiono cassetti e la vita a scorrere tra le periferie di una Torino sempre troppo grigia. La poesia si fa scoprire in un’antologia di giovani poeti e resta, fino ad oggi, l’unica pubblicata in un libro. La poesia è adesso un dialogo con il mondo e la certezza atea che l’unica speranza di cambiamento sono le persone è necessario imparare ad ascoltarle, a sentirle. É il viaggio vero quello che lo fa sedere ad ascoltare le storie degli altri. La poesia è il piacere d’essere vivo nonostante tutte le avversità della vita. É lasciare la porta sempre aperta al canto del mondo anche quando ha perduto moglie e figlio, anche quando è fuggito sulla punta di una siringa o è diventato un emigrante o gli consegnano in una scatola nera quel che resta di suo padre. La poesia è una speranza che fa si che apra la finestra ogni mattina e senta un sorriso disegnarsi dentro. Non sa cosa sia la poesia ma ne ha bisogno ogni mattina come il caffè.

 

Recentemente hai pubblicato Appunti dal Venezuela (Arcoiris, 2017), diario-reportage in prosa e poesia. Ce ne vuoi parlare?

Appunti è un requiem da Mozart ai Sex Pistols scritto ogni giorno durante le proteste del 2017 in Venezuela, dove perdono la vita più di 150 persone quasi tutti giovani. Nella perdita di umanità non c’è distinzione tra manifestanti e poliziotti o militari ma solo un pianto e l’orrore di chi difende una rivoluzione mai avvenuta che ricorda sempre di più il fascismo che raccontava il nonno Antonio. La perdita d’umanità non può avere un solo registro linguistico deve essere una denuncia e un sentimento espresso in forme differenti perché deve arrivare a tutti così come viene vissuta ovvero un pianto non politico ma umano.

 

Nel libro parli di un paese in subbuglio. In questo scenario tormentato la poesia come viene vissuta? Riesce a ritagliarsi uno spazio?

Antonio nato e cresciuto in una famiglia comunista vive la poesia fin da bambino come un atto di ribellione ed è in questa posizione che la poesia trova il suo canto anche nel sangue che macchia l’asfalto delle città del paese. Il poeta è un ribelle sempre perché cerca di raccontare la realtà che lo circonda sia come coscienza critica sia come vero e proprio manifesto di chi sta contro il sistema in cui si trova a vivere. Antonio minacciato, tacciato come fascista, come squallido, trova in tutto questo una volontà irrefrenabile di lanciare il suo canto al vento, libero dagli schemi di una ideologia o di una appartenenza. Lui appartiene alle finestre delle case ai vestiti fiorati della vicina Vidalina che profumano di caffè. Lui è una persona, non è un poeta, lui vive con la gente e si fa voce del coro degli ultimi, di quelli che come ricorda il grande scrittore Galeano “valgono meno della pallottola che li uccide”.

 

Ci vuoi raccontare qualcosa del Centro Culturale Tina Modotti, che coordini dal 2008?

Il Tina Modotti fin dai suoi inizi è stato una sfida. Quando aveva una sede fisica era una scuola d’italiano, ma è stato soprattutto un trasmettitore della cultura italiana dove trovavi corsi sul cinema e sulla letteratura italiana basati su materiali didattici autoprodotti e che venivano dati agli alunni gratuitamente e potevano essere usati anche nei telefonini. Poi la crisi economica ha spazzato via la sede fisica e il centro si è trasformato in un’operazione di scambio tra la cultura italiana e quella dell’America di lingua spagnola, anche se non mancano incursioni in altri ambiti culturali e territoriali. La scelta di essere presenti in Facebook è nata proprio dall’idea di voler rompere gli schemi in un mondo fatto di immagini  di gatti e foto di piatti vari che sembra il bastione dell’edonismo e dell’imbecillità. Fare qualcosa di totalmente diverso e dalla forte connotazione culturale anche se non mancano le incursioni in quella che viene definita la cultura Pop. Il CCTM sono tre persone che dedicano il loro tempo a un piacere che non è in vendita ma può solo essere condiviso. Due anni fa, il fatto di non appartenere a nessun circolo di poeti e artisti, a parte quello della bocciofila di lungo Dora, ha scatenato l’ira di qualcuno che ha iniziato a denunciarli a mister Facebook per i contenuti indecenti della pagina, foto e quadri di nudi, testi scomodi e tutto quello che poteva essere in qualche modo segnalato e censurabile, fino a quando il signor Facebook ha oscurato la pagina obbligandoli a ricominciare da zero. Una pagina che aveva raggiunto le 300 mila visite alla settimana, che non pagava nessuna promozione e non era affiliata a nessun clan artistico doveva essere distrutta. Ma Antonio e i suoi collaboratori hanno ricominciato da zero e sono di nuovo vicini alle 300 mila visite. Elemento fondamentale di sostegno al progetto è il sito web del Centro Cultural Tina Modotti (cctm.website) che non solo ha la funzione di raggiungere altri settori del mondo virtuale ma che funge anche da magazzino dei materiali nel caso di una nuova censura da parte di Facebook e gestisce anche altri aspetti della cultura italiana e ispanoamericana che non trovano uno spazio diretto nella pagina Facebook. Proprio tra qualche giorno il centro lancerà una campagna di crowdfunding per sostenere le spese di mantenimento del sito e aiutare anche i loro componenti che sacrificano spazi di guadagno per mantenere e sostenere il CCTM. La non appartenenza a riviste o circoli poetici e case editrici li esime dal poter ricevere finanziamenti e mai e poi mai accetteranno d’ospitare qualsiasi pubblicità nel loro lavoro.

 

Per il portale www.laboratoripoesia.it e per il Centro Tina Modotti ti occupi anche di traduzione. Quali sono le maggiori difficoltà che incontri nel rendere un testo italiano in spagnolo?

In verità Antonio ha aspettato quasi 15 anni prima di iniziare a tradurre testi da entrambe le lingue quando ha sentito di avere una padronanza dello spagnolo che gli permettesse di cimentarsi nel lavoro del traduttore. Anche perché non ha mai studiato lo spagnolo ma l’ha imparato vivendo nei paesi di lingua spagnola, prima la Spagna e poi in diversi paesi dell’America Latina. Il suo retroterra erano le traduzioni dal greco e dal latino degli anni del liceo. Il suo tradurre ha due regole fondamentali: la prima traduce poesia non poeti. La seconda: non fare poesia con la poesia degli altri ma mantenere il più possibile il senso dello scritto originale anche a costo di sacrificare l’armonia poetica. La vicinanza delle due lingue aiuta molto in questo senso. Non sa dire se la sua idea di traduzione sia più valida delle tante altre idee sul tema ma deve funzionare visto che la sua traduzione del libro di un giovane poeta argentino Juan Arabia proprio in questi giorni è stata selezionata tra le cinque finaliste del concorso del Premio Marazza.

 
 
 
 
questo emigrare
che è sangue fuori e dentro le vene
generazioni di valigie la foto di famiglia
e questa terra che si sfalda al toccare
sarà uno sguardo indietro
un compleanno sospeso
nella disperata speranza di un tempo emigrante
e cinquantacinque anni che aspettano
un altro ricominciare
con la stessa bestemmia e uno sputarsi sulle mani
a fare l’innocenza
 
 
 
 
Della solitudine conosco il viaggiare
quei posti vuoti di voglia di parlare
solcando un riflesso d’oceano e cielo
la gallina al mio fianco mi guarda curiosa
come tutti su questa chatarra* dalle gomme
unghie che si conficcano su questa terra andina
sbuffi di motore e sbadigli tutti a cercare l’aria
il rituale che vicino al cielo vuole il cappello
a tenere lontano il male che alla testa da l’altura
passi che sostengono a fatica il corpo e questa cima da cui si vede
quest’America solo mia da non parlare ma guardare passare come un amore a trapassare
il cuore
 
*carcassa
 
 
 
 
sono un emigrante
figlio di emigranti
non ho razza né terra
ma solo un cielo di stelle
la mia lingua é una nuvola
che insegue il vento
muoio e rinasco al toccare terra
sono pioggia d’africa e d’america
a germogliare i fiori del mondo