Amore migrante e l’ultima sigaretta – Antonio Nazzaro

Amore migrante e l’ultima sigaretta, Antonio Nazzaro (Arcoiris Edizioni 2018)

 

Amore migrante e l’ultima sigaretta di Antonio Nazzaro è l’edizione italiana corrispondente a Amor migrante y el último cigarrillo, uscita sempre nel 2018 in Cile per RIL Edizioni. Si tratta della recente pubblicazione poetica di uno dei traduttori più generosi e bravi attualmente attivi nel panorama italo/spagnolo. Antonio Nazzaro, grazie al Centro Cultural Tina Modotti quanto alla collaborazione con Laboratori Poesia (senza dimenticare la Samuele Editore per la quale ha tradotto Il nemico dei Thirties di Juan Arabia, oltre ad aver curato le versioni spagnole di La lengua incansable, antologia a cura di Alessandro Canzian per la Buenos Aires Poetry), traduce quotidianamente dall’italiano allo spagnolo e viceversa e pubblica i lavori al fine di far incontrare diverse culture e persone.

Poeta di notevole spessore, in questa sua prima opera personale in versi propone una complessa trilogia delle tematiche a lui più care. E fondamentalmente più caratterizzanti l’essere migrante (oggi, in Italia, così poco di moda) quanto l’essere umano.

Nel libro si incontrano infatti tre periodi: Amore (Amor), Migrante (Migrante), E l’ultima sigaretta (Y el último cigarrillo). Un percorso da un amore inizialmente verso la donna/compagna poi verso gli affetti più cari quali la madre, la sorella, il padre, spesso con toni particolarmente dolorosi (E guardo questa faccia vigliacca / che non prende il cuscino / per soffocarti). A seguire Antonio amplia lo sguardo e affronta il concetto di migrazione che è sostanzialmente un uscire di casa (intendendo per casa il circuito degli affetti), un dover essere uomo in qualche parte mondo. La terra, le geografie, in questa sezione non riconoscono l’autore e l’autore parimenti non le riconosce più. C’è l’assenza di una terra pur avendone potenzialmente due. L’assenza di punti fermi, di radici riconoscibili o addirittura sostenibili. In una condizione che appare senza fine nonostante la necessità di trovare un riparo (Ostinatamente avanzo / verso la terra nera e muta / che coprirà un nome / perduto).

Chiude il libro un ritorno al sé, un fare i conti con la propria vita, la propria solitudine. In questo Antonio trova la metafora della sigaretta che simboleggia forse una vita da appendere / o appesa / è quel che resta. Resta la vita, il desiderio anche di rifiutarla come opzione legata alla propria libertà (Ma resto qui con la sigaretta di sempre / a tagliarmi la bocca e il fiato. / Non ho paura di vivere / perché posso perdere / solo la vita) perché l’esperienza non sempre è sinonimo di pace, di accettazione. Può anche diventare resa (Ho visto il dolore urlante […] Ho visto il dolore in lotta […] Ho visto il dolore del risveglio […] Ho visto il dolore del saluto […] Ho visto il dolore di un padre steso sul marciapiede […] Ho visto il dolore della minaccia […] Ho visto il dolore magnifico […] E sorga il sole o la pioggia / aspetto con la sigaretta di sempre / un nuovo dolore).

Su tutte le pagine un aspetto più di altri percorre e traccia un piano di lettura per quella che di fatto è la testimonianza di un uomo che vive. Che dichiara di rinunciare a tradurre la vita perché sa che è così e resterà così. Che rinuncia a fare poesia (non ci sono facili espedienti, slanci lirici, ammiccamenti al lettore in questo libro) e per questo la fa veramente. Ma che ama, ama tutto e ovunque, ama la vita pur essendo pronto a gettarla perché è solo la vita. E questo aspetto è la contrapposizione tra leggerezza e pesantezza che nella metafora si allontana dalla terra per diventare nuvola. Termine che più volte viene ripreso e che, pur nascendo all’interno di un amore vivo, passionale, intero, appunto terreno, proietta verso un volo.

Si legge infatti: Lei ha la leggerezza della nuvola / davanti alla finestra che toglie lo sguardo / alla montagna per un nuovo orizzonte […] Non abbiamo nulla di noi e di nostro / né un bacio / né una carezza. // Solo un amore appeso / alle nuvole […] ma volo per scappare da te / o per trovarti in quella nuvola / che il vento poco a poco / allontana / dal cuore […] Non voglio amarti / né accarezzarti / né baciarti / lieve come la brezza. // Ma prenderti / come tempesta / su quest’altare del mondo

Una metafora, questa della nuvola, quanto mai significativa ed efficace. Perché in fondo la nuvola è quell’emblema di leggerezza che bene esemplifica una donna che riesce a sollevarti dalla vita, dalla tua stessa storia. Con la sua intelligenza, la sua fresca dolcezza, con tutte quelle caratteristiche che la rendono unica (Lei disegnò un sorriso lento e distante / lui capì solo che doveva raggiungerla per toccarla. // Lei tracciò due linee aperte / lui le racchiuse in una sola parola: // Abbracciami), con la sua volontà (perché qui non siamo di fronte a una figura angelicata ma a una donna presente, fisica, che ama, che è) e che riesce a opporsi allo stato di migrante che inevitabilmente un migrante anche nell’intimità, nella propria identità intima, sente e soffre. La nuvola è infine quell’insieme nebuloso e indistinto (che bene esemplifica l’animo umano) che non ha terra, anzi si sposta spinta da forze che non può controllare (Il dolore insegna la nitidezza / di un cielo alto. / E l’impotenza della nube / al vento). Come un migrante. Ed è infine quella realtà visibile, quell’espirazione che diventa forma grigia quando si fuma. Quando la riflessione sulla pesantezza e sul dolore della propria condizione umana (perché non si tratta più di una singola vita, pur partendo da essa) attraverso un piccolo gesto s’innalza, si disperde, vola forse più dell’uomo stesso.

O forse come l’uomo quando ama una donna, una sorella, un genitore, la vita nonostante la vita.

 

Alessandro Canzian

 
 
 
 

Alcuni testi tratti da Amore migrante e l’ultima sigaretta di Antonio Nazzaro

 
 

RIL Editores – Cile
 
Di te so poco:
la lunghezza delle tue braccia
il tempo dei tuoi baci
quelli umidi dell’amore vorace
e quelli lenti dell’amore quotidiano.
 
Il taglio degli occhi
e l’incedere scalza.
 
Il movimento dei seni
a cui accordo il respiro
quel gesto tuo
di spostare i capelli
quello che so
è che quando arrivi
e ti siedi in un sorriso
sogno.
 
 

De ti sé poco:
el largo de tus brazos
el tiempo de tus besos
los húmedos del amor voraz
y los lentos del amor cotidiano.
 
El corte de los ojos
y el andar descalza.
 
El movimiento de los senos
a lo que afino el respiro
aquel gesto tuyo
de mover el cabello
lo que sé
es que cuando llegas
y te sientas en una sonrisa
sueño.

 
 
 
 
Stancamente s’affaccia il mattino
su questo cortile di cielo.
 
Passi vanno
e l’esistere si srotola
in ombre che s’accorciano.
 
Si dovrebbe affrontare il giorno
ma la testa si gira
sotto il cuscino del tempo
ad allungare la notte
che abbraccia
l’odore di te.
 
 

Cansadamente se asoma la mañana
en ese patio de cielo.
 
Pasos van
y la existencia se desenvuelve
en sombras que se achican.
 
Se debería enfrentar el día
pero la cabeza se voltea
bajo el cojín del tiempo
para agrandar la noche
que abraza
el olor a ti.

 
 
 
 
Lasciami qui
al bordo delle tue labbra
ad ascoltare
il mare.
 
 

Déjame aquí
al borde de tus labios
para escuchar
el mar.

 
 
 
 
Non voglio amarti
né accarezzarti
né baciarti
lieve come la brezza.
 
Ma prenderti
come tempesta
su quest’altare del mondo.
 
Strapparti le vesti
entrare in te
a smuovere le stelle
per dare ritmo incendiario
a questo sesso
urlante la gioia.
 
 

No quiero amarte
ni acariciarte
ni besarte
leve como la brisa.
 
Sino tomarte
como tempestad
sobre este altar del mundo.
 
Arrancarte el vestido
entrar en ti
para mover las estrellas
para dar ritmo incendiario
a este sexo
aullante de alegría.

 
 
 
 
Ti vedevo passare
per i corridoi universitari
vestivi come una monaca messicana
ma avevi il sorriso del peccato
che sa d’amore.
 
E sulla lavagna scrivevo un verbo in are
amare
per spiegare tre coniugazioni ere
tenere
per tenere la tua mano al tramonto
l’altra in ire
fiorire
per fiorire sulla tua pelle morena
una mattina.
 
 

Te veía pasar
en los pasillos universitarios
vestías como una monja mexicana
pero tenías la sonrisa del pecado
que sabe de amor.
 
Y en el pizarrón escribía un verbo en ar
amar
para explicar tres conjugaciones en er
tener
para tener tu mano al anochecer
la otra en ir
surgir
para surgir sobre tu piel morena
una mañana.

 
 
 
 
Oggi mangio da te
sulla tavola imbandita
di fiori e muschi
e dolci frutti.
 
Il tuo corpo
disteso.
 
 

Hoy voy a comer de ti
sobre la mesa puesta
de flores y musgos
y dulces frutos.
 
Tu cuerpo
tendido.

 
 
 
 
Il ciabattare quasi trascinato
non è il mattino
appena alzato.
 
Ma il lento passo di madre
a scaldare il latte
come se fosse il cuore.
 
 

El chancletear casi arrastrado
no es la mañana
apenas levantada.
 
Sino el paso lento de madre
a calentar la leche
como si fuera el corazón.

 
 
 
 
A una sorella cerebrolesa
 
Davanti allo specchio guardo questa faccia
che riflette quel letto.
 
I pugni a colpire l’aria
le gambe che si muovono come una smorfia
Il grido e il saltare epilettico.
 
I suoni che mai sono state parole.
 
E guardo questa faccia vigliacca
che non prende il cuscino
per soffocarti.
 
 

Para una hermana con daño cerebral
 
Frente al espejo miro esta cara
que refleja esa cama.
 
Los puños golpeando el aire
las piernas que se mueven como una mueca
el grito y el saltar epiléptico.
 
Los sonidos que nunca fueron palabras.
 
Y miro esta cara cobarde
que no toma el cojín
para sofocarte.

 
 
 
 
Ti vedo tra i passanti
quasi il passo tradisce la fantasia
vorrei seguirti
ma non si può rincorrere
se stessi
e resto lì a lasciarti scomparire.
 
Perché l’amore è un segreto
che ci portiamo
dentro.
 
a mio padre Vittorio
 
 

Te veo entre los transeúntes
casi el paso traiciona la fantasía
quisiera seguirte
pero no se puede perseguir a sí mismo
y quedo allí para dejarte desaparecer.
 
Porque el amor es un secreto
que nos llevamos
adentro.
 
a mi padre Vittorio

 
 
 
 
L’emigrante lo riconosci
perché anche sotto il sole del mezzogiorno
disegna
due ombre.
 
 

Al emigrante lo reconoces
porque también bajo el sol del mediodía
dibuja
dos sombras.

 
 
 
 
a Cesare Pavese
 
Emigrare è una canzone
di mare vento e cieli burrascosi
che si va perdendo nella memoria.
 
Come quella terra che al voltarti
non si riconosce.
 
 

a Cesare Pavese
 
Emigrar es una canción
de mar y viento
y cielos borrascosos
que se va perdiendo en la memoria.
 
Como aquella tierra que al voltearte
no se reconoce.

 
 
 
 
Vivere da immigrati anche dopo anni
è aprire la finestra.
 
Sapere che il cielo che vedi
non sarà mai il tuo.
 
E mai e poi mai ne avrai uno
perché il cielo non si può afferrare né ricordare.
 
 

Vivir como emigrante es también después de muchos
años
abrir la ventana.
 
Saber que el cielo que ves
no será nunca el tuyo.
 
Y luego que nunca tendrás uno
porque el cielo no se puede aferrar ni recordar.

 
 
 
 
Cosa resta all’emigrante?
 
Solo due ombre
che non riconoscono
il loro corpo.
 
 

¿Qué le queda al emigrante?
 
Solo dos sombras
que no reconocen
su cuerpo.

 
 
 
 
La sigaretta di sempre
il posacenere tazzina
lo schermo che riflette
le dita che disegnano parole
 
E non so cosa sto facendo.
 
Forse una vita da appendere
o appesa
è quel che resta.
 
 

El cigarro de siempre
el cenicero taza
la pantalla que refleja
los dedos que dibujan palabras.
 
Y no sé qué estoy haciendo.
 
Quizás una vida que colgar
o colgada
es lo que queda.

 
 
 
 
Il dolore insegna la nitidezza
di un cielo alto.
 
E l’impotenza della nube
al vento.
 
 

El dolor enseña la nitidez
de un cielo alto.
 
Y la impotencia de la nube
al viento.

 
 
 
 
Ti ho preso
ho imparato a non negarti
anzi ti piego come un fazzoletto
da tenere nel taschino
con profumo di lavanda
dolce compagno e nostalgia lieve
che chiamano dolore.
 
Ma sei vita a insegnare
la felicità.
 
 

Te he tomado
he aprendido a no negarte
más bien te doblo como un pañuelo
que llevar en el bolsillo
con perfume de lavanda
dulce compañero y nostalgia leve
que llaman dolor.
 
Pero eres vida enseñando
la felicidad.

 
 
 
 
Ho visto il dolore urlante
dei corridoi del manicomio
e una sorella legata al letto.
 
Ho visto il dolore in lotta
di tute blu che sognavano
un cielo rosso.
 
Ho visto il dolore del risveglio
di sogni d’ago sotto un ponte
e uno sconosciuto al fianco morto.
 
Ho visto il dolore del saluto
di una valigia d’emigrante
e il silenzio di lingue incomprensibili.
 
Ho visto il dolore di un padre steso sul marciapiede
e suo figlio a spingere via i soccorritori
per difendere una morte di una vita d’uomo.
 
Ho visto il dolore della minaccia
una pistola nella bocca
e dodici anni in ventitré chilogrammi fuggire.
 
Ho visto il dolore magnifico
del vivere sempre
e comunque.
 
E sorga il sole o la pioggia
aspetto con la sigaretta di sempre
un nuovo dolore.
 
 

He visto el dolor aullante
de los pasillos del manicomio
y una hermana atada a la cama.
 
He visto el dolor en lucha
de overoles azules
que soñaban un cielo rojo.
 
He visto el dolor del despertar
de sueños de aguja bajo un puente
y un desconocido al lado muerto.
 
He visto el dolor del saludo
de una maleta de emigrante
y el silencio de lenguas incomprensibles.
 
He visto el dolor de un padre tendido en la acera
y su hijo alejando a los socorristas
para defender una muerte de una vida de hombre.
 
He visto el dolor de la amenaza
una pistola en la boca
y doce años en veintitrés kilogramos huir.
 
He visto el dolor magnífico
del vivir siempre
y de todas las maneras.
 
Y surge el sol o la lluvia
espero con el cigarro de siempre
un nuevo dolor.

 
 
 
 
Fanculo
 
Ho una parola
deforme come il volto
sorella stracciata dalla epilessia
le braccia autostrade di siringhe
abbandonate al bordo del cammino.
 
Mio padre una cassetta di cenere lasciata tra i libri
rubati da una rivoluzione che vanta il progresso
educativo
cinquantacinque anni e una valigia di ventitré
chilogrammi
come ricordo
il tremore delle mani che cercano un lavoro
e un paese che sputa in faccia freddo e pioggia
come una speranza.
 
Ma resto qui con la sigaretta di sempre
a tagliarmi la bocca e il fiato.
 
Non ho paura di vivere
perché posso perdere
solo la vita.
 
 

A la mierda con todo
 
Tengo una palabra
deformada como el rostro
una hermana desgarrada por la epilepsia
los brazos hechos autopistas de jeringas
abandonadas al borde del camino.
 
Mi padre una caja de cenizas dejada entre los libros
robados por una revolución que supone el progreso
educativo
cincuenta y cinco años y una maleta de veintitrés
kilogramos como recuerdo
el temblor de las manos que buscan un trabajo
y un país que escupe frío y lluvia
como una esperanza.
 
Pero aquí me quedo con el mismo cigarro de siempre
cortándome la boca y el aliento.
 
No tengo miedo de vivir
porque puedo perder
solo la vida.

 
 
 
 
A volte mi tocco
le tasche non per vedere
se ancora ho il portafoglio
il telefonino gli occhiali o le sigarette
ma per sapere
se sono intero.
 
E sempre c’è una tasca
che mi lascia nel dubbio
 
 

A veces me voy tocando
los bolsillos no para ver
si todavía llevo mi cartera
celular lentes o cigarros
sino para averiguar
si sigo entero.
 
Y siempre hay un bolsillo
que me deja en la duda.

 
 
 
 
Dell’innocenza ho la speranza
che un giorno saremo uomini
e apriremo le braccia.
 
Come le finestre al mattino.
 
 

De la inocencia tengo la esperanza
que algún día seremos hombres
y abriremos los brazos.
 
Como las ventanas por la mañana.